venerdì 17 febbraio 2012

1. 6. Ricordo risvegliato

  L'altro mondo.
  Un mattino che riaffiora dagli abissi del passato, un cielo azzurro e terso così distante dalla mia stanza grigia. Un orizzonte speciale che allerta il mio inconscio. Sto per rivivere un momento emozionante.
  Un tassello fondamentale della mia esistenza.
  Quella decisione scellerata: scappare via, correndo sulla colata di cemento versata sull'oceano. Quel molo sottile che supera la scogliera e si protende sulla distesa d'acqua. File di remi rossi sono piantati sui lati, come una nave antica capace di sfidare la corrente marina. Così tanti che perdo il conto.
  Anche la mia rotta è altrettanto temeraria. Fuggo in mezzo al niente, senza riflettere, nella piatta vastità blu che potrebbe inghiottirmi con un'onda. O con una sferzata di vento improvvisa.
  Il braccio della morte termina con un'isola artificiale, la scorgo in lontananza. Una struttura metallica e decadente, consumata dalla salsedine. La raggiungo con una velocità assurda, quel vento favorevole che aiuta sempre le decisioni sbagliate.
  Capolinea: il cancello si spalanca.

***
  Vago nell'ingresso fortificato, nei tunnel perpendicolari con le voci degli altoparlanti che indicano la via. Affrettano il mio passo, accorciano i tempi. Sbuco fuori dall'altra parte, nel cortile interno. Accecato dal sole e obbligato a restare con gli occhi bassi.
  C'è un nuovo cancello, chiuso stavolta, e ci sono altri disperati, che formano gruppetti schivi. Non sono gli unici presenti: c'è altra gente, brutti ceffi.
  – Gli isolani: – me li presenta uno sconosciuto – pescatori e contrabbandieri. Abitano nei piccoli villaggi sulla costa, se non li hai ancora visitati...
  – Spogliatevi di tutti i vostri averi! – ordina qualcuno con l'altoparlante.
  Le guardie non si fanno vedere, preferiscono rimanere nascoste dietro le mura e le feritoie.
  – Non era previsto! – cominciano a lamentarsi i nuovi arrivati.
  Silenzio imposto dalle armi puntate, manovrate in remoto dall'altra parte.
  Lasciamo per terra le cose di valore e gli indigeni non si fanno pregare. Mi libero del portafoglio, non ho altro. Si avvicina un moccioso e lo svuota delle sue monete.
  – Piccolo taglio, – mi spiega – troppo piccolo.
  Mi riprendo il portafoglio, glielo strappo di mano.
  – Vattene. Preferisco gettarlo nell'oceano, piuttosto che darlo a te. 


***
  I pescatori hanno costruito il villaggio dove la mole di ferraglia sprofonda nell'acqua. Palafitte, capanne di legno, barche ancorate e vele che fanno un po' di ombra. Un angolo tranquillo di un'isola che sa di morte.
  Mi sono allontanato dal cancello e dagli altoparlanti: né le guardie né il destino sembrano avere fretta. Nemmeno io. Lungo la strada ho trovato un museo trasandato che raccoglie gli averi di chi è già partito, gli oggetti sfuggiti agli sciacalli. Dentro si respira aria sacra quasi e anche ispirazione, in mezzo alle memorie di chi non c'è più.
  All'entrata, dietro il bancone, c'è il titolare. Mi viene un'idea.
  – Ascolta: voglio diventare tuo socio. Ho abbastanza denaro per comprare... metà del museo, – stimo, sfogliando il mazzo di banconote – mi dispiace che un luogo così importante cada a pezzi.
  Affare fatto, il tizio accetta senza proferire parola. Senza credere ai suoi occhi, probabilmente.
  Ritorno fuori e raggiungo un tendone, una specie di locanda piena di gente. Mi faccio strada dentro, fino a un tavolo. Vi siedono diverse facce conosciute. Abbassano gli occhi quando le saluto. Cosa diavolo ci fanno qui anche loro?
  Una ragazza del posto, invece, non mi molla un secondo. Esotica, affascinante.
  – Come ti chiami? – le domando.
  – Drupa. 
  Drupa. Nella calca, noto il tizio del museo spendere i miei soldi in donne di piacere. Ho fatto proprio un bell'investimento a dargli tutto il denaro, lui sì che sta facendo affari.
  – Perchè hai il volto tatuato? – chiedo alla ragazza.
  E anche tutto il resto del corpo, noto.
  – Sono pitture sacre. Adornano chi accompagna il prescelto nel rito di passaggio.
  La voce esce da labbra carnose e, sopra, gli occhi neri inchiodano i miei. Il suo sguardo esprime desiderio, intensa complicità.
  – Rito? – non nascondo l'interesse.
  – Il nostro rito – sussurra.
  Ci allontaniamo dal tavolo, insieme.

***
  Mi risveglio sulla riva, lambito dall'acqua salata.
  Senza più averi, senza più vestiti. Senza ricordi. Senza più nulla.
  So solo che è arrivato il mio momento e il cancello dentro l'isola mi aspetta.
  Anche il sole se n'è andato, chissà se mai lo rivedrò.

Sogni di sera     6

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