lunedì 26 settembre 2011

1. 2. Camera di decompressione

  Barcollo.
  Presa di coscienza al rallentatore. Incompleta. Attimi di assestamento prolungati, con le braccia che tentano di riequilibrare il corpo. Scivolo in avanti con un'andatura incerta, dai passi cauti.
  Supero in fretta la camera da letto, apertura buia e rettangolare sulla destra. C'è qualcosa che si muove là dentro, qualcosa di minaccioso, avvertito dall'istinto. Percepito con sicurezza dai sensi interiori. La coda dell'occhio sonda le tenebre senza il mio consenso, ma riesco a sorpassarle prima di individuare cose strane. Prima di spiacevoli riscontri visivi.
  Là dentro ci dovrò tornare a dormire, meglio non farsi paranoie prima del tempo.
  Il corridoio è breve, tinto di grigio. La meta: il bagliore che si staglia tenue di fronte a me. La luce pallida che acceca gli occhi notturni. Delle ombre proiettate sul pavimento, al di là della porta aperta.
  Varco la soglia, le palpebre si chiudono.
  Trapasso.

***
  In cucina ci sono le solite persone. Una donna indaffarata ai fornelli e due uomini taciturni seduti a tavola. Con la mano chiusa intorno a un bicchiere di vetro appannato. Si muovono lentamente, gli occhi nascosti nelle ombre. Vedo la scena dall'alto, come una telecamera a circuito chiuso piantata nel soffitto.
  Tutte le lancette dell'orologio sono rivolte verso il basso, verso le ore sei. Non sento il ticchettare dei secondi. Una sola pentola, fumante, senza coperchio. Il rubinetto, la credenza. Un frigorifero senza porte...
  – Non hai mangiato.
  Ritorno in me.
  – L'ho fatto – ribatto alla signora col grembiule.
  – Non ti ho mai visto mangiare da quando sei qua. Dovresti mangiare qualcosa, prima di fare i tuoi giri fuori.
  Rifiuto l'invito.
  Dove dovrei andare? Ha detto che sto per uscire, ho capito bene? Lei sa cose che io ancora non conosco. Evidente la disapprovazione dipinta sul suo volto.
  – Vieni qui, – mi chiama l'uomo seduto a capotavola – ti cerca (pronuncia un nome che non capisco): ha lasciato un messaggio.
  – Come hai detto che si chiama?
  – (non capisco il nome per la seconda volta). Verrà a trovarti.
  Mi vengono i brividi.

***
  – Posso aprire la finestra?
  – Sai che non si può – tono severo alle mie spalle.
  Le ante e i vetri non ci sono, ma le tapparelle sono calate fino in fondo e resta solo qualche fessura. Mi avvicino piano e guardo fuori. Niente, non si vede niente. 
  Mi piazzo davanti alla porta del balcone, quella che dà sui laghi. Sbarrata anche questa. Devo uscire. Richiamo irresistibile dell'esterno. Devo solo desiderarlo e succederà. Ordini mentali: concentrazione, impegno, desiderio. Ho imparato che gli sforzi di volontà fanno miracoli.
  Devo uscire.
  Devo.
  Uscire.

Sogni di sera     2 

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